4WuZHVegXm1cjf7tl8WGMqKqxE0 LA FIAMMA DEL PECCATO

venerdì 9 agosto 2013

Blue Jasmine - Review


Woody Allen is no more the innovative, outstanding director who realized masterpieces like Annie Hall, Manhattan, Zelig, Radio Days, Crimes and Misdemeanors, Shadows and Fog (in my opinion his last great movie). Those times are gone.
What can we axpect from him then? Pretty decent works like Match Point or Midnight in Paris, perhaps inspired comedies like The Curse of the Jade Scorpion, even bittersweet stories like Whatever Works
With Blue Jasmine Woody has done something which belongs to his past and, at the same time, is new and refreshing. The story of this wealthy woman, used to every kind of luxury, who suddenly loses everything and is forced to move to her sister's poor apartment in San Francisco, is nothing really new to him. But the director, painting this deep and moving fragile woman's portrait, has achieved the intensity of his best dramas. Jasmine's character is problematic, charming, sometimes miserable. Behind her good looks and her elegance the pain of loss (not only wealth) is painfully hidden, wasting a fragile mind like hers. Cate Blanchett is simply perfect at showing all the sides of this woman. She reminded me Gena Rowlands best performances: A Woman Under the Influence, Opening Night, Gloria. Cate deserves an Academy Award nomination for this role, no boubt about that. Sally Hawkins is a wonderful supporting actress as well.
Blue Jasmine in some ways talks about an America that is in trouble, that has made mistakes and can't hide anymore behind her financial power. And without money and luxury, just like Jasmine, America is likely to lose her identity...

domenica 21 luglio 2013

Only God Forgives - Review


I realized at last why I haven't written anything in the last weeks.
Simply I had nothing interesting to write about.
Then yesterday I saw Only God Forgives and here I am.

Forget Drive. That amazing, ipnotic movie was Nicolas Winding Refn's first mainstream, in terms of story and characters. Now he's back to his original world, made of allegories and symbols hidden behind the violence. And something more.
Before the silent and charming Ryan Gosling of Drive there were no heroes in Refn cinema, only weak men fighting against themselves most of the time. Julian, Gosling's character in Only God Forgives, is a lost son. He has no father and a mother he can't stop to loving even if she's a real witch. Refn shows the dark side of a family portrait where there are no good characters, only damaged ones.
Then suddenly a tough, metaphoric father arrives to punish their sins. Chang is a retired cop who has his own code, which he uses to rule his world. It's built with blood, just like most of Refn's main characters. I'm thinking about Mads Mikkelsen's role in Valhalla Rising, or Tom Hardy's one in Bronson, for example. The only one who recognizes the rules of the violent world he's living in is Julian, but he's to weak to oppose his mother's strength. The sequence in which Julian has a vision about Chang coming after him is astonishing, something comparable to David Lynch's puzzles. Refn shows the sexual impulse and the death omen without caring about the logical sequence of events. Sometimes the editing is really flooring, and follows the subconscious laws more than the rational ones.
So the battle for Julian's soul is set. A tough father versus an awful mother. Ryan Gosling's role is a sort of contemporary, painful Oedipus. He knows (spoiler alert!) that Chang's punishment of his brother Billy's crime is justice, in a perverse way. He doesn't want to oppose to this, but he has no way out because his mind is obsessed with Crystal/Kristin Scott Thomas. The only way to escape from this trap is to pay a blood cost.
Only God Forgives is set by Nicolas Winding Refn as a slow, obscure nightmare in which a struggling man runs towards his destiny, and in the end he accepts it. In a very cathartic way, the movie has an happy ending, because Julian pays for his sin (loving too much, being obsessed by a monster/mother) and survives, being the only one who understood Chang's system of rules and fought following them.
Only God Forgives could be something really difficult to embrace for the audience, there's no doubt about that. The comparison with Drive could be damaging, this two movies have different universes and rules. I've been hypnotized by Refn's ability to show the black soul of his characters and also their pain, their lack of a decent interior life. Only God Forgives has a very simple story, enhanced by great visual scenes and painful symbols.
This movie hurt me, and this is why I loved it.





venerdì 21 giugno 2013

World War Z - Recensione







Voto: 6/10

Niente di nuovo sul versante dei non morti. Però questo non è un difetto, dal momento che in questo caso la materia cinematografica è organizzata piuttosto bene, e visti i problemi produttivi che il film diretto da Marc Forster ha avuto sembra un mezzo miracolo. Si parte con la definizione precisa e stringata del personaggio di Gerry Lane. Abituato a trovarsi in giro per il mondo in posti "caldi", quando scoppia l'apocalisse lui regisce d'istinto, parla poco e con le sue azioni salva l'amata famiglia. Niente scene strappalacrime, niente effetti cercati, soltanto la mera lotta per la sopravvivenza. Brad Pitt riempie questo bel ruolo con un carisma invidiabile, World War Z è forse il film in cui maggiormente si rimane affascinati dalla sua presenza scenica. E' lui il centro del prodotto e lo sostiene con pienezza e potenza.
Narrativamente la storia è quella che tutti ci aspettiamo, però tiene bene e si sviluppa in maniera intelligente: il suo punto di forza è quello di evitare lo spettacolo roboante quando non serve, anzi andando a togliere l'inutile effetto fino a un finale sorprendente nella sua asciuttezza.
Se tutto sembra funzionare, perché allora World War Z non ha un voto più alto di un semplice 6? Difficile dirlo, il prodotto è confezionato con indubbia professionalità. Quello che manca è il sangue e ciò che esso comporta. I morti viventi sono sempre più animali rabbbiosi e sempre meno entità che rappresentano la devastazione umana: per evitare probabilmente i divieti ed accaparrarsi un pubblico sempre più grande, il sangue è ormai quasi totalmente eliminato dalla messa in scena. Ma un essere che torna dal mondo dei morti per divorare i vivi rimasti è molto più che una semplice scusa per mettere in scena il gore.
E' la negazione stessa dell'umanità, il confronto con un qualcosa di insondabile e spaventoso, una nemesi di ciò che la civiltà umana ha costruito in migliaia di anni. Il tabù del cannibalismo, la sua rappresentazione orrorifica, da questi film sembra ormai del tutto scomparso, e con esso la portata angosciosa che si portava dietro. Adesso gli zombie ti assalgono, ti ammazzano, ma non"profanano" più l'essere umano. World War Z è un bel film, diverte, fa saltare sulla poltrona e in alcuni momenti addirittura avvince. Ma provate a rivedervi i primi film di George A. Romero, La notte dei morti viventi oppure Zombie. Quello era cinema destabilizzante, che abbinava vera angoscia e domande esistenziali. Quei tempi sono passati, ok, nessun problema.
Ultima considerazione per la bravissima Mireille Enos, moglie di Pitt nel film. Mi pare un'attrice assolutamente promettente, capace di mostrare fragilità, dolcezza e insieme forza interiore. Mi sa che dovremo tenerla seriamente d'occhio...

P.S. - Considerazione vagamente patriottica: sono stato contento di vedere nel film Pierfrancesco Favino. Come sempre se la cava bene. Bravo.







venerdì 7 giugno 2013

The East - Recensione in anteprima

Voto: 5/10

Poteva uscirne fuori un film di denuncia davvero intrigante, e invece il lavoro del regista Zat Batmangij e dell'attrice e sceneggiatrice Brit Marling risulta un melodramma che promette ma non mantiene. Prima di tutto perché a convincere soltanto a tratti è proprio il gruppo di eco-terroristi al centro della vicenda. Le motivazioni dei suoi membri  sono deboli o ancor peggio retoriche, spesso ispirate a storie di frustrazione personale o desiderio di vendetta. Le loro azioni non regalano mai allo spettatore la sensazione che stiano per fare qualcosa di pericoloso o realmente esemplare. Data questa premessa tenue tutto di conseguenza si annacqua, ed è un peccato perché nella prima parte la figura della protagonista è veramente azzeccata. Brit Marling si costruisce addosso un personaggio secco, preciso, che si adatta benissimo al suo stile di recitazione trattenuto. Dopo Another Earth e Sound of My Voice si conferma un talento da tenere senz'altro d'occhio.
Peggio di lei fanno Ellen Page e Alexander Skarsgård, impantanati in ruoli più stereotipati. Dal canto suo Batmangij mette il tutto in scena in maniera abbastanza convenzionale, non sfruttando con originalità alcune buone trovate di storia e la performance della Marling e di una grande spalla come Patricia Clarkson. La delusione non è totale, ma The East non merita comunque la sufficienza nonostante le premesse potenzialmente intriganti.

Eccovi come al solito il trailer del film.
 
 


domenica 2 giugno 2013

After Earth, recensione in anteprima



Voto: 7/10

Il cinema di M. Night Shyamalan è cambiato dai tempi di The Sixth Sense, e in maniera probabilmente definitiva. Bisogna prenderne atto e lasciare da parte confronti a mio avviso fuorvianti rispetto al discorso che il cineasta sta portando avanti. Dopo il rovescio di E venne il giorno (secondo me il suo unico film difficilmente salvabile) e l'escursione quasi fanciullesca de L'ultimo dominatore dell'aria, eccolo tornare ad esplorare la fantascienza con l'arma che sa costruire e adoperare meglio: i personaggi. Ogni grande ritratto umano dipinto da Shyamalan ha una backstory che lo rende prezioso e insieme doloroso: lo psicologo di The Sixth Sense, la coppia di rivali di Unbreakable, il prete di Signs, il gruppo di The Village e il mio preferito, il Cleveland Heep di Lady in the Water. Cypher e Kitai, padre e figlio di After Earth, non fanno eccezione: un rapporto difficile, inaridito dalla lontananza, corroso dal dolore. Will Smith e suo figlio Jaden lo esplorano con pienezza, lavorano sui silenzi e sulla fisicità che la loro differente età ed esperienza comportano. Will in particolare è arcigno e insieme umanissimo, la sua figura è senz'altro quella più toccante delle due e l'attore la caratterizza con notevole verosimiglianza.
Il non detto in After Earth è più importante delle parole, ed è ciò che lega i due personaggi principali con un filo sottile ma potente, ma soprattutto emozionante. Shyamalan costruisce un'opera che cerca l'eleganza visiva senza puntare per forza all'originalità. I tempi delle sorprese narrative saranno anche passati, ma la volontà di dare un cuore pulsante ai suoi eroi è sempre presente ed efficace. Il film ha ovviamente dei difetti, alcune banalità nel sottotesto ecologista e una discreta dose di retorica, ma non merita assolutamente le stroncature ottenute negli Stati Uniti, tutt'altro. C'è chi ha messo il luce come la storia sia più che accostabile alla dottrina di Scientology di cui Will Smith a detta di molti è seguace. Possibile, anzi a ben vedere abbastanza probabile. Comunque non più di quanto a mio avviso lo era la trama di Hancock. La questione non mi rende certamente entusiasta, ma ciò non toglie che After Earth sia comunque a tratti vibrante.
A impreziosire poi una confezione già valevole ci sono le musiche del solito, straordinario James Newton Howard. Il lavoro sulle percussioni e sulla loro potenza espressiva ricorda quello vigoroso di Hans Zimmer, ma in più il collaboratore abituale di Shyamalan adopera come sempre gli archi con una dolcezza ancora insuperata. After Earth ha una magnifica colonna sonora, senz'altro differente da quella malinconica e cristallina di The Village o Lady in the Water ma allo stesso tempo piena di rimandi e di fascinazioni sonore. Arte della musica, non c'è dubbio.

Eccovi il trailer italiano del film.












mercoledì 29 maggio 2013

The Kings of Summer, recensione in anteprima



Voto: 7/10

Crescere non è mai una cosa facile.
Il percorso di avvicinamento al mondo adulto richiede molto spesso un sacrificio importante. Ci si deve lasciare alle spalle l'infanzia, periodo magico ma anche potenziale fonte di insicurezza e profondo dolore. L'adolescenza può essere inoltre il momento della ribellione, magari da un padre troppo stronzo perché non riesce ancora a metabolizzare la morte della moglie, oppure da genitori troppo perfetti che però hanno staccato la spina del vero ascolto nei confronti di loro figlio. Questo esperiscono i ragazzi di The Kings of Summer, i quali scelgono di fuggire dalle regole loro imposte e tornare alla natura, dove saranno loro a stabilire cosa è giusto e cosa non lo è. L'assunto principale del film diretto da Jordan Vogt-Roberts non è nuovissimo, così come il suo sviluppo. L'interesse primo nell'approccio a quest'opera sta però nella messa in scena, la quale anche se viziata da alcune ingenuità stilistiche riesce a mettere in scena l'età complicata dei protagonisti e la loro condizione attraverso un sottile ma palpabile velo di inquietudine.
Ci troviamo di fronte a una commedia, non c'è alcun dubbio, e la maggior parte dei personaggi di contorno ce lo ricordano continuamente e con ilare efficacia. Però allo stesso tempo assistiamo a un film sulla crescita, sulla privazione e sull'accettazione della finitezza umana, e non sono questioni che il film prende alla leggera, tutt'altro. La delicatezza del tocco non diventa mai mielosa, la storia procede su binari conosciuti ma solidi ed emozionanti, l'alchimia tra i tre giovani protagonisti Nick Robinson, Michael Basso e uno strepitoso Moises Arias è notevole. The Kings of Summer è in realtà un melodramma travestito da commmdia giovanile, un vero e proprio coming-of-age movie dove la malinconia si cela dietro ogni risata, senza però per questo renderla amara. Bella sorpresa.

Ecco il trailer di The Kings of Summer


domenica 19 maggio 2013

Gli stagisti (The Internship) - recensione in anteprima



Voto: 6/10

Non so se siete d'accordo ma la coppia Owen Wilson/Vince Vaughn con 2 Single a nozze ci aveva regalato una delle commedie più frizzanti e corrosive degli ultimi anni. In America si rivelò un successo clamoroso, sfondando abbondantemente il tetto dei duecento milioni di dollari d'incasso.
A distanza di otto anni i due attori tornano insieme per un prodotto che soltanto in apparenza rimanda a quello precedente. A ben vedere infatti Gli stagisti è una commedia molto più edificante di quanto non si possa immaginare vedendo il trailer. Ma questo non è assolutamente un difetto, tutt'altro. Sfruttando l'idea classica di una coppia di "svitati" piazzata in un ambiente che non compete loro neppure minimamente, Shawn Levy costruisce un film perfetto per far osrridere e strizzare l'occhio ai più giovani, ma anche adatto a quel pubblico adulto che probabilmente cerca in questo tipo di prodotti magari delle connessioni più forti che il solo divertimento. E allora cosa meglio di due uomini che perdono il lavoro e tentano di reinventarsi dentro la più grossa macchina di comunicazione del mondo, Google?
Il regista è quello di Una notte al museo, sa perfettamente come gestire questo tipo di produzioni. Lo dimostra in pieno questo film, cadenzato secondo un ritmo che sa quando accelerare con scene spassose e quando invece concedere spazio ai sentimenti più romantici o edificanti. Il confronto generazionale tra i due "mammuth" Wilson/Vaughn e i nuovi supernerd che come loro tentano la strada dell'interniship per garantisri un futuro (che arma tremenda lo stege...) è molto ben definito, così come l'immancabile love story. Il resto lo fanno i due protagonisti affitatatissimi. Non me ne voglia il buon Owen, ma per me il grande mattatore rimane Vince Vaughn con la sua fisicità esibita e la sua innata simpatia.
Merita di essere visto Gli stagisti, perché concede risate sincere e lascia lo spettatore con il dolce sapore  - anche un po' zuccheroso, perché no? - della buona commedia classica. Forse non è dirompente come 2 Single a nozze, ma quella come detto all'inizio era un'altra idea di commedia. E soprattutto erano altri tempi...

Eccovi il trailer de Gli stagisti