4WuZHVegXm1cjf7tl8WGMqKqxE0 LA FIAMMA DEL PECCATO: Disconnect. E se avessimo bisogno di sana retorica?

domenica 14 aprile 2013

Disconnect. E se avessimo bisogno di sana retorica?





Voto 7/10

In un'epoca cinematografica (e non solo...) in cui quasi ogni discorso viene mescolato, centrifugato, sottomesso a nuove regole estetiche e narrative, non abbiamo perso forse qualcosa? Tipo la chiarezza e la linearità? Il dubbio potrebbe essere implausibile, per carità, ma non credo illegittimo.
Andando a vedere Disconnect mi sono trovato di fronte a un film a tesi, che la esplicita fin dalle prime scene senza temere di essere retorico: l'odierna civilità tecnologica, dove (non) si comunica attraverso l'oggetto invece che  attraverso il contatto umano, sta portando alla confusione e al distacco. Per raccontare questo, quattro storie di vita più o meno ordinaria si intrecciano sullo sfondo di un universo malinconico, quasi desolato nella sua freddezza. Esordio alla regia del documentarista Henry Alex Rubin, Disconnect si affida a una trama composita - scritta da Andrew Stern - che più degli sviluppi narrativi, quasi tutti comunque efficaci - vuole dipingere la tristezza pacata e rinunciataria di un'umanità apparentemente non più in grado di trovare e provare empatia. Ogni personaggio è presentato come solo, slegato, anche se si tratta di un padre, di un marito, di una figlia.
Tornando al punto di partenza non sarebbe improprio parlare di un film retorico, che vuole veicolare un messaggio attraverso un discorso filmico e narratologico anche didascalico. Il fatto però è che tale discorso colpisce, arriva al punto, soprattutto permette di riflettere. Forse essere "disconnessi" non consiste soltanto in esempi radicali di dipendenza da social network, tecnologia e via dicendo. Condito con una bella colonna sonora, lucido nel non cadere in risposte preconfezionate (la forza aventualmente è nelle domane che il film propone), Disconnect è un prodotto che merita una visione aperta e propositiva.
Forse la vera mancanza, il vero logorio dell'attitudine verso il prossimo è proprio nei piccoli gesti invece di quelli più eclatanti. Dove il film infatti colpisce maggiormente non è nelle scene-madre ma nella delineazione dei caratteri meno "forti", come quello del padre Rich Boyd che dopo essere caduto nel dramma tenta di ristabilire appunto una connessione col mondo che lo circonda. Non tutto funziona alla perfezione nel film - la storia che vede protagonisti Alexander e Paula Patton è decisamente meno efficace delle altre - ma la sincerità e il pudore con cui Rubin mette in scena la sua tesi sono ammirevoli e oinvolgenti.
Abbastanza efficace il cast, su cui svetta il mio "pupillo" Jason Bateman, qui alla sua prima prova realmente drammatica. L'attore c'è ed è sempre più bravo a dare anima all'uomo comune, cosa non tutti sono capaci di fare. A lui l'applauso più convinto.

Trailer di Disconnect


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