4WuZHVegXm1cjf7tl8WGMqKqxE0 LA FIAMMA DEL PECCATO: La risposta è: 42

mercoledì 17 aprile 2013

La risposta è: 42



Voto: 7/10

Sul dorso della mia mano destra pochi mesi fa ho impresso l'ultimo dei miei quattro tatuaggi: 91.
E' il numero di maglia di Dennis Rodman nei tre anni in cui ha giocato con i Chicago Bulls. Per me quel numero vuol dire una cosa soltanto: volontà. Chi come me ha visto giocare Rodman, a Chicago come a Detroit, ha visto una mente e un cuore che hanno saputo essere più grandi degli ostacoli tecnici o fisici che una gara ha loro meso di fronte.
Chiunque sia un vero appassionato di sport, di qualsiasi sport, vi racconterà che un numero di maglia significa davvero tanto per chi la indossa e per chi la ama dagli spalti o davanti alla TV.
Questo per introdurre 42, numero ben più leggendario del mio adorato 91. E' infati la maglia indossata da Jackie Robinson il 15 aprile 1947, quando esordì nella squadra di baseball dei Brooklyn Dodgers.
Il primo giocatore di colore a giocare nella Major League, sfidando e battendo il razzismo americano del Dopoguerra.
Ecco quindi i tre elementi di 42: 1 - Una leggenda sportiva. 2 - Lo sport più "filosofico" praticato in America. 3 - Un narratore come Brian Helgeland che quando vuole sa essere sopraffino. Per chi non lo ricrodasse ha scritto insieme a Curtis Hanson L.A.Confidential (Oscar per l'adattamento) e per Clint Eastwood Mystic River (solo nomination, ma la statuetta l'avrebbe strameritata). Bastano come biglietti da visita?
Con 42 Helgeland realizza quello che ogni cineasta mediamente talentuoso ma arguto avrebbe fatto: costruisce l'epica americana come il pubblico l'aspetta. La parabola di Robinson è cadenzata in maniera che più classica non si potrebbe, e per questo funziona a dovere. Poche sbavature, pochissime lentezze, alcuni momenti che inevitabilmente ti gonfiano il petto e ti fanno sentire fiero di vivere a Brooklyn, dove quegli eventi hanno avuto luogo. A completare l'opera un gruppo d'attori che incarnano i più classici volti e caratteri americani, con in testa un Harrison Ford (Branch Rickey, il team executive che volle a tutti i costi  Robinson ai Dodgers) che non mi sorprenderei di vedere in lizza per l'Oscar come non protagonista il prossimo anno.
Niente di nuovo sotto il sole si potrà obiettare al film, ma a mio avviso sarebbe un errore farlo: l'epica hollywoodiana non vuole novità ma pretende efficacia, fluidità, senso dello spettacolo capace di veicolare il messaggio. Perché, non dimentichiamocelo, 42 parla prima e soprattutto di razzismo e dello sportivo che ha osato sfidarlo su un campo fondamentale per la cultura e la società americana: il diamante del baseball. La grandezza del cinema statunitense è che anche quando vuole incensare i suoi eroi come è stato Jackie Robinson non ha paura di farlo raccontando il lato oscuro dell'american dream. 42 è dunque un film bello e importante, uno spettacolo edificante e sinceramente commovente. Quando uscirà in Italia andatevelo a vedere, conoscerete probabilmente un po' meglio la storia dello sport americano, e ne vale assolutamente la pena.

P.S. - Per un gioco di coincidenze, se si ribalta il numero 42 ne vien fuori 24, altro numero a me caro quanto pochissimi altri. E' la maglia di un campione assoluto, una mente di basket feroce quanto quella di Dennis Rodman, ma con un talento cristallino come quello di Michael Jordan. Un campione che merita di finire la propria carriera su un campo. Io ti aspetto Kobe.




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